Brevi cenni del suo curriculum

Davide D’Orazio è nato nel 1962 in Sicilia e tuttora vive e lavora a Melilli (SR). Si occupa di fotografia dagli anni Novanta riprende l’attività artisti- ca dal 2009, lavorando da autodidatta e prendendo spunto dai professionisti del settore. Si sofferma soprattutto sugli scorci urbani, sui ritratti della gente incrociata per caso e sulle bellezze della sua regione, sottolineando sempre il valore simbolico dei momenti semplici della vita quotidiana, regolata da un’accezione sia determinista che relativista degli eventi.

La Sicilia del folclore, quella popolare e immersa nelle sue tradizioni più radicate. Quella che crede e si dedica ai riti che le appartengono. Che a testa alta se ne vanta, incrociando l’interesse di Davide D’Orazio, preso dalla cronaca fotografica di una terra viva, ricca di paesaggi quanto di situazioni cariche di passione. Spettacolo della religione senza il neo della rappresentazione, tema che nasce nell’obbiettivo di D’Orazio dalla consapevolezza di custodire nell’unicità areale di certi momenti un tesoro di proporzioni nazionali.

Sguardo attento e non retorico, mai pruriginoso, come insegna una pietra miliare della fotografia in terra di trinacria, Letizia Battaglia. Come lei, D’Orazio è siciliano doc, ed alla stessa maniera adotta verso la Sicilia il rispetto critico di chi confrontandosi con essa ne affronta le peculiarità senza sovrastarne il senso. Motivo per cui la serialità del nostro deve per forza riformare logicamente il racconto visivo, infarcendolo di connotati eccessivamente emotivi. Racconto che non sia solo testimonianza, ma anche un’esperienza di percezione coinvolgente, frutto di una dinamica che riprende nei suoi barocchismi più lapalissiani le redini di un’azione narrativa unilaterale, puntata sull’uso delle immagini quale esclusiva fonte documentaria.

D’Orazio sente di dover stare dietro alla “storia”, di seguirla con l’obbligo tassativo di non inquinarne i termini di svolgimento. Nella processualità istantanea d’oraziana – rito nel rito i ruoli sono definiti, con ogni scatto latore di una solida autonomia evocativa. A parlare per lui sono i volti della gente presa negli eventi e festante, sono le mani che stringono, sorreggono, portano avanti il racconto per come imbracciano il crocifisso, il simbolo di fede e di una ritualità che nel suo puntuale manifestarsi non sarà mai uguale a sé stessa. Ma che ogni volta si offre nel suo essere “calderone d’umanità”, dove gioia, tentennamenti e compostezza serrata delle signore bene si compensano, parti di una giostra gestuale di cui il fotografo è firmatario in comunione con la stessa popolazione. Anche in questo patrimonio culturale sta un pezzo di storia nazionale, scritta nel rosso dei coriandoli sparati verso un’accecante azzurro.

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