Ogni bambino ha diritto a vivere, a giocare, a sognare. Questo dovrebbe essere un principio universale, condiviso e protetto da ogni società civile. Eppure, la storia – passata e presente – dimostra l’opposto: troppo spesso i bambini sono le prime vittime, quelle più fragili, quelle che pagano con la vita le decisioni, le guerre, le ideologie degli adulti.
Due epoche distanti ci parlano dello stesso orrore. Durante l’Olocausto, circa 1,5 milioni di bambini ebrei furono uccisi dai nazisti. Insieme a loro, migliaia di bambini rom, con disabilità o provenienti dall’Europa orientale furono strappati alle loro famiglie, deportati, uccisi, dimenticati. Alcuni morirono nelle camere a gas, altri per fame, malattie o sotto i ferri di medici che sperimentavano su di loro come se fossero cavie.
Oggi, nel 2025, nella Striscia di Gaza, le cifre sono altrettanto spaventose. Più di 50.000 bambini hanno perso la vita dal 2023 a oggi. Molti sono morti sotto le bombe, altri per fame, per malattie curabili in qualsiasi altro luogo del mondo. Alcuni sono rimasti sepolti sotto le macerie delle loro case, altri non sono mai arrivati in ospedale, semplicemente perché non ci sono più ospedali. Anche qui, i bambini muoiono senza capire perché. Uccisi in una guerra che non hanno voluto, in un conflitto che non ha mai dato loro tregua.
Non si tratta di confrontare il dolore. Nessuna tragedia cancella l’altra. Nessun numero può competere con un altro. Ma c’è un filo invisibile che unisce questi eventi: la totale, disumana perdita dell’infanzia. In entrambi i casi, a essere annientata non è solo la vita, ma anche la speranza, il futuro, l’umanità stessa.
Le immagini dei bambini ebrei dietro i fili spinati di Auschwitz sembrano appartenere a un passato remoto, ma non lo sono. Quelle stesse espressioni di paura, quelle stesse lacrime silenziose, oggi si leggono nei volti dei bambini palestinesi sopravvissuti ai bombardamenti. Il passato ci ha promesso “Mai più”. Ma quel “mai più” non è mai stato rispettato.
“Chi salva una vita, salva il mondo intero,” recita un passo del Talmud spesso ricordato nei memoriali della Shoah. Eppure oggi, mentre il mondo guarda, ascolta, legge e sa, continuiamo a permettere che i bambini vengano massacrati. Non possiamo più dire “non sapevamo”, perché oggi tutto è documentato, trasmesso in diretta, denunciato. L’UNICEF ha definito Gaza “un inferno per i bambini”. Save the Children parla di “fallimento globale dell’umanità”. Il numero di minori amputati, orfani, traumatizzati è incalcolabile.
Questo non è più solo un problema politico. È una questione morale. Se la memoria dell’Olocausto deve avere un senso, allora deve servirci a riconoscere e fermare ogni altra violenza sistematica contro gli innocenti. Gaza non è un campo di sterminio, ma è un luogo dove la vita dei bambini è diventata sacrificabile. E questo dovrebbe farci orrore tanto quanto ciò che abbiamo giurato di non ripetere.
Non possiamo restare in silenzio. Ogni bambino che muore è un’accusa al nostro silenzio. Ogni madre che scava a mani nude tra le macerie è una condanna alla nostra indifferenza. Ogni piccolo corpo avvolto in un sudario – a Gaza come nei forni crematori del secolo scorso – ci grida che l’umanità ha perso la sua bussola morale.
Non abbiamo il diritto di dimenticare. Non abbiamo il diritto di voltare lo sguardo. Perché se abbiamo imparato qualcosa dalla Shoah, dovrebbe essere che il silenzio è complice. Che l’indifferenza è assassina. Che i bambini devono essere protetti, sempre. Ovunque.
Mara Nicotra

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