Un giorno prima dalla morte del giudice Falcone e un mese dopo da quella del Giudice Borsellino, un pentito della cupula di cosa nostra rilevò segreti preoccupanti sull’interramento e smaltimento illecito di scorie radioattive nella miniera di Pasquasia, un’area della Sicilia a 22 Km da Caltanissetta e nella cava di San Giuseppe a Melilli nel in territorio di Augusta, paesi del triangolo siracusano dichiarati già ad alto rischio industriale e in crisi ambientale, per la presenza di inquinamento di raffinerie e discariche di rifiuti pericolosi tra cui la Cisma, che dopo l’interrogazione parlamentare di Alternativa Libera viene seguestrata dalla procura di Catania a causa di smaltimenti illeciti di rifiuti tossici da tutta Italia e forse anche dalla Cina, tra cui il polverino dell’acciaieria dell’Ilva di Taranto.

Il traffico dei rifiuti radioattivi in Sicilia inizia negli anni 80 e sarebbe proseguito fino agli anni 2000. Su questa vicenda cala un sipario. E solo quando gli atti vengono desecretati si apprende che ENI è coinvolta in questo scandalo. In che senso?

La Commissione bicamerale d’inchiesta sulle ecomafie presieduta dall’on. Alessandro Bratti dispone nel mese di dicembre 2016 l’acquisizione diretta di atti, perquisendo a Milano in Piazza San Babila, l’abitazione della signora Cesarina Ferruzzi, nota negli ambienti criminali con il soprannome di Madame Dechets, tr. ad litteram: signora dei rifiuti, che, nel 1988, si era occupata per conto della Monteco (gruppo Eni), di far rientrare i rifiuti dal Libano, attraverso la Jolly Rosso.

Tra il 1989 e 1995 la Procura di Reggio Calabria accerta l’affondamento nel mar Mediterraneo di 90 navi.

Anche la DIA attraverso le dichiarazione di un pentito della “ndrangheta” rileva tra il 1995 ed il 2000 l’affondamento di altre 637 navi contenenti scorie radiottive di tutto il mondo, di cui 52 nel Mar Mediterraneo e tre sicuramentene nel mar Ionio come confessato dallo stesso pentito che assicura lui stesso di averle affondate. Esse sono: La Yvonne A, la Vorias Sporadais, la Cunsky. Ma il traffico e lo smaltimento dei rifiuti nucleari continua ancora. E nel 2003 il Ministro Matteoli ammetterà che in Italia arrivano 60.000 metri cubi di scorie radiottive dall’Inghilterra, senza rilevare i siti di stoccaggio, il che formentò il dibattito sulla opportunità in sede Ue della modifica della norma che impedisce lo smaltimento di scorie in un paese diverso da quello dove sono prodotte.

I rifiuti nucleari, rientrati dal Libano e dalla Nigeria, oltre quelli stoccati in Italia dall’ENEA, spesso attraccati al porto di Augusta, anche per periodi piuttosto lunghi, sono stati interrati o riversati in siti industriali attivi, come lo è stata fino al 1992 la miniera di Pasquasia, o dismessi, senza alcuna protezione ed informazione delle popolazioni locali. A dare l’allarme nel 1988 fu un prete di Augusta don Palmiro Prisutto.

La miniera di Pasquasia, in cui erano occupati 500 persone, inspiegabilmente fu chiusa in fretta e furia 8 giorni dopo l’assassinio del giudice Paolo Borsellino. Da studi effettuati, a seguito di rilievi sul territorio si evincono valori elevati di Cesio 137 e tra la popolazione limitrofa un elevato tasso di incidenze per leucemia superiore al resto d’Italia, pur essendo l’area priva di qualsiasi attività industriale.

Sulla cava di San Giuseppe, a Melilli, invece, è caduto un velo omertoso, sebbene, sia stato registrato tra il 1999 ed il 2006 un incremento dei valori di incidenza di ammalati di leucemia dell’84% in più per gli uomini e del 29% in più per le donne, rispetto agli altri territori della provincia.

Dalle immagini si evinconono le strie dei mezzi su gomma e la roccia picchettata per seppelirli tutti da un lato.

Nel 2005, in una delibera del consiglio comunale di Melilli (n. 47 dell’1 aprile) il sindaco del tempo (Giuseppe Sorbello) dichiara testuali parole: “di fronte al cimitero di Melilli in territorio di Augusta dove già risultano scaricati rifiuti pericolosi….. ….sarà approvato, nella prossima Conferenza di servizi, il progetto di bonifica, evitando così l’inquinamento”.

Ma, diversamente di quanto è accaduto in altri siti, dove le indagini hanno rilevato riscontri ai racconti dei pentiti, come quello stoccato a Statte nell’azienda Cemerad, che ha raccolto per anni rifiuti radiottivi di tutta Italia riposti in un capannone a cielo aperto abbandonato da oltre 20 anni, con tempi di smaltimento della radiottività, confermati dall’Enea, superiore a 9999 anni, come riportato dalla Procura della Repubblica di Matera, di Melilli, non se ne sa nulla.

Di recente, anche la sentenza di assoluzione della Corte d’Appello di Perugia dell’unico indagato per la morte dei giornalisti che accertavano il traffico di rifiuti tossici dall’Italia verso la Somalia, conferma una triste pagina della storia italiana, che se non si interviene immediatamente, con azioni di rimozione, bonifica e riqualifica delle aree contaminate, saremo destinati a segnare un ulteriore drastico destino alle generazioni future.

E’ stato pubblicato di recente uno studio dell’Istituto Nazionale delle ricerche di Pisa, correlato ad altro studio della London school of Hygiene and Medicine, in cui si evince che la bonifica del sito di Priolo verrebbe a costare € 770 milioni a fronte di € 3,6 miliardi di costi per le spese sanitarie, oltre € 55,6 milioni di multe annuali versate per l’inquinamento dovuto alle mancate bonifiche. Puntare sulle bonifiche risulterebbe altamente conveniente e produttivo, oltre a comportare sul piano delle esternalità un alto sviluppo tecnologico ed occupazionale, in un territorio che ne ha effettiva necessità. Si consiglia anche un ulteriore perimetrazione del Sin di Priolo.

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